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Carlo Bergonzi, il più grande tenore verdiano, amico di Sant’Antonio

Il 10 ottobre, serata di gala al “Festival Verdi 2009”


di Renzo Allegri


ROMA, lunedì, 5 ottobre 2009 (ZENIT.org).- E’ in corso a Parma il “Festival Verdi 2009”, che fino al 23 ottobre celebra, con opere, concerti, eventi, mostre al Teatro Regio e nei teatri delle terre verdiane, la musica del celeberrimo compositore italiano.

Una serata, quella del 10 ottobre, è dedicata al tenore Carlo Bergonzi, considerato il più grande interprete verdiano. L’appuntamento è a Busseto, cittadina dove Verdi nacque e visse e dove vive anche Bergonzi. In quel giorno, tra le varie manifestazioni, un concerto e l’apertura di un museo verdiano, verrà presentato anche il film-documentario di Mauro Biondini dal titolo “Carlo Bergonzi tenore verdiano del secolo”.

Che Bergonzi sia il tenore verdiano per eccellenza, non ci sono dubbi. Con questa motivazione ha ricevuto premi in tutto il mondo. Anche dalla prestigiosa “Gramophone's Lifetime Achievement Award” di Londra che nel 2000 lo ha proclamato “Principe fra i tenori e miglior tenore verdiano del secolo”.

Bergonzi è una leggenda, ad altissimo livello. Forse non ha la popolarità di altri suoi colleghi perché è sempre stato schivo e riservato, dedito al proprio lavoro e alla propria famiglia. Ma per gli intenditori, i critici, i musicologi, i melomani di tutto il mondo, è e resterà “il” tenore verdiano.

Ha celebrato le opere di Verdi con un’arte assoluta e inimitabile ovunque. Nove stagioni di fila alla Scala, venti all’Arena di Verona, trentasette ininterrotte al Metropolitan di New York, record assoluto per un cantante lirico. Migliaia di recite, decine e decine di incisioni discografiche.

Grande artista e grande uomo. Ma anche un cristiano esemplare, convinto. Raramente si parla di questi aspetti dei grandi artisti, quasi non fossero importanti. In Bergonzi è un dato fondamentale della sua vita. Chi lo conosce bene ed ha lavorato con lui sa che la fede cristiana ha illuminato tutta la sua esistenza e la sua arte.

Quando parla, è facile sentirlo dire con la più grande semplicità: “Finchè il Buon Dio vorrà”. Non è una frase fatta. Per Bergonzi ha il significato di fiducia e di speranza che ad essa davano un tempo i credenti.

Ha 85 anni e la ripete spesso con la serenità di sempre. La fama non ha scalfito la sua semplicità. Il successo non ha mai alterato il suo comportamento. E’ sposato da quasi sessanta. Ha due figli, Maurizio e Marco.

Vive a Busseto, come un cittadino qualunque. Non frequenta i grandi teatri, le “prime”, i circoli culturali, i salotti, i club della lirica. Non va a parlare in televisione. Non lo si vede mai in pubblico se non accompagnato dalla inseparabile Adele: moglie, amica, consigliera, guida.

Nelle interviste, non dimentica mai di dire: «La fede non mi ha mai abbandonato. Di questo ringrazio il Signore ogni giorno». Ricordando gli anni della guerra, i 26 mesi in campo di concentramento in Germania, dove rischiò di morire, afferma: «Il Signore mi era vicino e mi ha salvato».

Un giorno di novembre del 1998 mi raccontò della sua amicizia con Sant’Antonio da Padova. Il 29 ottobre di quall’anno aveva tenuto un concerto a Gardone, nel teatro del Vittoriale. Un concerto che ebbe un grandissimo successo e di cui fu realizzato anche un video. Qualcuno mi disse che si trattava di un concerto particolare, esplicitamente voluto dal tenore e dedicato al Santo di Padova. Incuriosito, andai a trovare Bergonzi e gli chiesi di spiegarmi il perché di quel concerto.

«Ho voluto sciogliere un voto», mi disse. «Quarantasei anni fa, in un momento particolare della mia vita ho avuto una grande grazia da Sant’Antonio e gli avevo promesso che l’ultimo concerto della mia carriera lo avrei fatto per lui. Ormai ho 75 anni. Canto da 50. Non firmo più contratti perché non posso ipotecare l’avvenire. I direttori dei teatri mi chiamano. Io mi sento bene, la voce risponde, la voglia di cantare è sempre grande, e vado ancora. Finchè il buon Dio vorrà, continuerò a cantare. Ma prima di perdere la voce ho voluto tener fede alla promessa fatta a Sant’Antonio. Per lui dovevo eseguire un concerto importante, in piena forma vocale».

«Io sono sempre stato devoto a Sant’Antonio. Fin da bambino», continuò a raccontarmi Carlo Bergonzi. «Tutti abbiamo un santo particolarmente caro. Il mio santo è Antonio da Padova. Quando ero ragazzino facevo il chierichetto e ricordo che, per la festa di Sant’Antonio, il 13 giugno, seguivo tutte le funzioni che si celebravano nella mia chiesa, proprio perché avevo già allora una grande devozione a questo santo. E’ un personaggio per il quale nutro oltre a una profonda devozione anche una grande simpatia. Mi piace, sento di volergli bene, di confidarmi con lui. E lui mi ha sempre dimostrato amicizia. Mi ha aiutato in teatro e anche fuori dal palcoscenico. E nel gennaio 1953 mi salvò la vita».

«Ero impegnato nella “Lucia di Lammermoor” di Donizetti al Teatro Grande di Brescia. E poiché abitavo a Milano, andavo avanti e indietro per le prove. Avevo allora un’Alfa 1900 e potevo raggiungere Brescia in meno di un’ora, anche se non c’era ancora l’autostrada di adesso».

«Il giorno della prova generale partii verso le cinque del pomeriggio. Era una giornata rigida e fredda. Andavo veloce perché avevo fretta. Ma appena fuori città, mi imbattei in un pezzo di strada ghiacciato. La macchina schizzò via, fece un volo di trenta metri e si schiantò contro un palo. Ricordo che quando persi il controllo dell’auto gridai: “Sant’Antonio aiutami”. La macchina si capovolse e restò con le ruote per aria».

«Un signore che passava per caso, corse in mio aiuto. Pensava di trovarmi morto. Invece, uscii dall’auto senza neppure un graffio. Non mi ero fatto assolutamente nulla.

Aspettai il carro attrezzi e tornai a casa. Mia moglie, vedendomi, chiese: “Non dovevi andare alla prova generale a Brescia?”. “Sì”, risposi “ma ho trovato la strada ghiacciata ed ho preferito tornare indietro. Telefonerò e vorrà dire che farò direttamente la recita senza prova generale”. Non dissi niente dell’incidente per non spaventarla».

«Il mattino dopo, mente mi vestivo, lei si accorse che avevo un livido sulla schiena. “Che cosa ti sei fatto?”, chiese. “Non lo so”, risposi. Ma lei ormai si era insospettita e allora la accompagnai giù in garage e le feci vedere la macchina. Era un rottame. Solo l’abitacolo del guidatore era miracolosamente intatto. Mia moglie svenne. Cadde proprio a terra priva di sensi. Si rese conto anche lei che ero vivo solo per miracolo. “E’ stato Sant’Antonio”, le dissi».

«Quella grazia, che io ho sempre considerato un vero miracolo, ha rafforzato la mia devozione in questo santo. E fu allora che gli promisi di andare almeno una volta l’anno in pellegrinaggio alla sua tomba a Padova, e che gli avrei dedicato l’ultimo concerto della mia carriera».

«Per quanto riguarda i pellegrinaggi a Padova ho sempre mantenuto la promessa. Inoltre, il mio affetto per Sant’Antonio è cresciuto con il passare del tempo. Quando ero in giro per il mondo, in qualunque nazione mi trovassi, andavo in cerca di qualche chiesa cattolica sicuro che avrei trovato una statua di Sant’Antonio. In America, in Africa, in Giappone, ovunque ho trovato statue di Sant’Antonio e andavo a pregare in quelle chiese e a rendere omaggio al mio santo protettore».

«Ora che, come ho detto, non prendo più impegni fissi, ho deciso di fare quel concerto che gli avevo promesso. Ed ho avuto la soddisfazione di fare una cosa veramente straordinaria. Il teatro del Vittoriale è all’aperto ed ha per sfondo il lago di Garda. L’ambiente quindi era un incanto, con una scenografia naturale impagabile. C’era l’orchestra Donizetti di Bergamo diretta dal maestro Nello Santi. E io ho voluto preparare un programma degno di Sant’Antonio».

«Niente quindi canzonette o canzoni da salotto, ma un programma tutto verdiano. E in onore di questo mio grande protettore ho voluto cantare un pezzo che non avevo mai eseguito prima in tutta la mia carriera: l’aria di Otello. Questo stupendo capolavoro di Verdi è molto impegnativo per il tenore e non adatto alla mia voce: per questo non l’ho mai eseguito. Ma, dopo 50 anni di carriera, ho voluto fare una pazzia».

«Ho preparato quel pezzo di nascosto da mia moglie, che, essendo la mia più severa critica, non mi avrebbe permesso di cimentarmi in una impresa del genere.

Approfittavo di quando lei usciva per la spesa per studiare quell’aria. L’ho eseguita con tutta la mia passione e credo di avere lasciato il segno».

«Al termine, tutto il pubblico era in piedi. L’applauso non finiva più. Era un applauso entusiasta e commosso. Credo che lo ricorderò come uno dei più importanti della mia carriera. Mia moglie, dopo il concerto mi ha detto: “Questa sera doveva esserci proprio Sant’Antonio vicino a te”».

 

 

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