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Così San Francesco inventò il presepe

Così San Francesco inventò il presepe - pagina 5

Indice Articolo
Così San Francesco inventò il presepe
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Dunque, il presepe visto da Francesco e documentato da Giotto. Non una natività intima e concentrata sul rapporto tra la Madre e il Bambino e l’incrociarsi dei loro sguardi, bensì una sacra rappresentazione, popolata di personaggi contemporanei che sono spettatori del dramma sacro orchestrato secondo uno schema ben preciso, con un bue e un asinello in terracotta e tutta la semplicità evangelica di Betlemme. Quella che la parola stessa praesepe (= recinto chiuso da siepi, e quindi stabbio per animali) vuole indicare nel senso traslato di mangiatoia. Quella che, secondo Tommaso da Celano, mostra «i disagi in cui Gesù si è trovato per la mancanza delle cose necessarie... come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Il tutto in perfetta adesione a quell’iconografia antica che vede sulla scena, appunto, il solo Bambino riscaldato dai due animali, senza altre figure presenti.

Un presepe che è spettacolo ufficiale autorizzato persino da papa Onorio III, solenne eppure nato in modo spontaneo e popolare. Soprattutto, un’idea di Natale che metteva da parte tanto la Natività quanto la Maestà per tornare alle origini, che non erano evangeliche ma apocrife (in particolare il Vangelo dello Pseudo Matteo, composto tra il VI e l’VIII secolo). Non c’è la grotta nei Vangeli canonici, né la selva e le rupi imponenti che san Francesco volle come sfondo a Greccio. La domanda è: perché scegliere l’iconografia popolare e non quella classica della Natività? Perché preferire un allestimento en plein air (che Giotto trasferirà in un interno solo per documentare le successive rievocazioni dell’evento) e preoccuparsi di ottenere la licenza esplicita del pontefice tanto per la sacra rappresentazione quanto per la celebrazione della messa sopra un altare portatile?

Forse perché il presepe non nasce come generica rappresentazione natalizia ma come solenne e forte dichiarazione d’intenti. Da poco chiusi i contrasti con l’autorità papale e approvata la seconda Regola, Francesco sembra riaffermare, a Greccio, la sua volontà di radicalismo evangelico, il suo intento di imitare Cristo, rifacendo Betlemme in forme così poco canoniche: non la chiesa ma il bosco, non lo splendore e i doni dei Magi ma l’essenzialità di una mangiatoia e di due animali, non una Maestà da adorare ma un Bimbo cullato sussurrando una ninna nanna.

Da qui ad un’ulteriore suggestione il passo è breve: che il presepe di Greccio intendesse porsi anche quale surrogato di un pellegrinaggio a Gerusalemme mai compiuto e, magari, quale alternativa pacifica alle Crociate. Ciò che Giotto non racconta, infatti, diversamente dalle cronache dell’epoca, è che i partecipanti non esitavano – a rappresentazione terminata – a considerare miracoloso il contesto e i suoi “ingredienti” e a portarsi a casa, come una reliquia, proprio la paglia della mangiatoia.
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Stefania Mola



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